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«In cielo, ma dove?» così Ossorio e Ferrara trovano parole e immagini per dire la morte ai più piccoli

Il Mattino - 18 giugno 2020

La pandemia da Coronavirus ha reso l’imminente estate una stagione di bilanci, più che di agognato relax. Alla complessità della “ripresa” fa da sfondo infatti lo spettro indimenticabile delle perdite di innumerevoli vite umane, che in certi casi (come in Lombardia) hanno quasi azzerato una generazione: ponte prezioso per la memoria storica e la coesione affettiva e identitaria di nuclei familiari, comunitari e della società stessa. Ne resta icona, nel ricordo di tutti, il lugubre e lento corteo notturno di carri militari, carichi di salme diventati meri numeri di una macabra contabilità di vittime. Ma se il turbamento è stato e resta forte negli adulti, quali conseguenze può avere sui bambini? E come parlare allora, senza inganni, del mistero della morte ai più piccoli?

La letteratura per l’infanzia abbonda di esempi efficaci. Senza scomodare le fiabe classiche e i racconti popolari, basti pensare al bel racconto di formazione del compianto pediatra Marcello Bernardi La palla perduta, illustrato da Vanna Vinci, o al potente romanzo di Beatrice Masini Se è una bambina, per limitarci a due esempi di qualche anno fa. Ma ora, tornano opportunamente sul tema due eccellenti autori per ragazzi (e non solo), Antonella Ossorio e Antonio Ferrara, qui nel ruolo di illustratore: con l’albo In cielo, ma dove? (UovoNero edizioni, pp. 48, euro 16) che trasforma una spensierata giornata di gioco all’aria aperta di due fratelli, il dodicenne Andrea e il piccolo Luca di 4 anni, in un momento di riflessione dialogica tanto lieve quanto profonda, e a tratti persino ironica: ad attenuare la radicalità di domande di senso e il dolore di ferite inevitabili che non si possono mai eludere, nel rispetto autentico della crescita di ciascuno.

A scatenare il cortocircuito del dialogo tra i due fratelli è la scoperta, da parte del più piccolo, di un passero morto che accende di interrogativi la sua curiosità, sconfinata come la fantasia (e il pensiero magico) dei bambini della sua età. Mentre Andrea, il fratello maggiore, è concentrato a palleggiare di sinistro per battere il proprio record personale, viene interrotto da Luca che vuole capire come mai il passero steso ai suoi piedi non si muova. Spazientito e irritato dalla distrazione, Andrea gli risponde in malo modo: «Stupido, non vedi che è morto stecchito?» scatenando tuttavia una sequela di perché del fratellino. Ne deriva un crescendo di domande metafisiche, calate nella semplice concretezza di una quotidianità che attiva emozioni, suscita ricordi, provoca associazioni di idee e sentimenti: capaci di ribaltare molti cliché inflitti ai bambini sulla morte come tabù e non come altra faccia dell’esistenza (“è finito in cielo”, sì, ma dove? “l’ha voluto Dio”, e perché?, e così via). Le figure dello zio Davide precocemente perduto, del nonno anziano ancora in vita e persino – per estensione del concetto - del pollo fritto mangiato a cena la sera prima diventano così gli elementi di una conversazione serrata, fresca e vivace, che la scrittura sapiente di Ossorio, poetessa e scrittrice di grande talento, rende con l’immediatezza di un parlato incastonato, sulla pagina, nelle belle tavole a matita e pastelli del poliedrico Ferrara, dall’inconfondibile segno qui altrettanto realistico e insieme onirico, dispiegato talvolta a tutta pagina con immagini a tratti surreali e appena venate, nelle tinte tenui e sfumate, di una malinconia che sa stemperare il dolore senza nome nella dolcezza di una speranza consapevole. Così sintetizzata dal piccolo Luca: «Allora ricordare fa sorridere!»

Dialogo e disegni, garantiti dalla statura dei due autori, aiutano così a trovare con delicatezza le parole per dirla, la morte inafferrabile, anche ai bambini: riconciliando i preadolescenti sulla necessità della memoria da tramandare e tener viva, non soltanto nelle lapidi dei cimiteri; e restituendo i più piccoli a una dimensione mitico-fantastica dove tutto è possibile, e bisogna saperlo, e crederci, perfino facendone – se necessario – un gioco. Un albo illustrato riuscito, che sa evitare le trappole (o le tentazioni) della cupezza e gli scivoloni nella retorica, sempre in agguato quando si affronta il senso ultimo e penultimo dell’arte di vivere

di Donatella Trotta

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