La Stamberga d'inchiostro - 28 ottobre 2020
È in qualche modo familiare quel senso di disagio, la difficoltà nel vivere la propria pelle, ci si sente estranei davanti a un mondo che reputa alcuni diversi dagli altri. È in qualche modo familiare questa frustrazione che attanaglia il cuore, ma non dovrebbe esserlo per nessuno. In un mondo ideale tutti dovrebbero essere uguali e rispettosi degli altri, liberi e in grado di essere ciò che si vuole.
Non è da tutti però trovare la forza necessaria a vestire i panni che ci fanno sentire a nostro agio, spesso questo la gente non lo comprende, in molti casi si viene discriminati, si continua a sbattere la testa contro il solito muro fatto di pregiudizi, quasi come se fosse sbagliato essere diversi, essere se stessi.
Per Nino e la sua famiglia il discorso al tavolo si complica, diventa quasi a senso unico, “essere omosessuali è sbagliato, bisogna guarire”, un’imposizione nata da un pensiero antiquato, lo stesso che ancora oggi alimenta la violenza e l’oppressione, lo stesso che muove le dita dei leoni da tastiera e di tutti coloro che rifiutano l’idea che una persona possa essere omosessuale.
Nino si ritrova così a dover tentare ogni strada possibile pur di alleviare la sofferenza dei genitori e nel farlo rinchiude il vero se stesso in un ripostiglio sperando che la terapia di conversione faccia il suo corso, funzioni e possa dargli modo di vivere una vita già pianificata, poco importa se è infelice e si sente vuoto. A disagio, nella clinica di conversione di Don Claudio trova altri come lui, persone alla deriva a cui è stata inculcata l’idea di essere sbagliati, di non poter appartenere alla società se diversi.
Nino si aggrappa così forte alle parole di Freddie Mercury, alla sua musica, e sembra quasi di poter percepire il suo dolore e la sua forza attraverso la sua voce, la sua melodia sembra quasi allinearsi a quella della sua anima, qualcuno sembra quasi tendergli una mano dalla cima di quel profondo pozzo nero e grazie a quella briciola di speranza e di conforto Nino riesce a resistere, ma per gli altri non è così facile, c’è chi a furia di camminare sul filo di una rasoio finisce per tagliarsi a metà e chi invece soccombe senza neanche provarci.
Ed è grazie a questa speranza, questa piccola luce in fondo al tunnel che Nino decide di fuggire, molla tutto e scappa via prima di fare una brutta fine, perché sa bene che anche la speranza alla fine muore e quando viene a mancare non c’è più nessun appiglio a cui aggrapparsi. Il mondo fuori però è ancora più crudele, gli sguardi della gente sono taglienti, lame di coltello che trafiggono ad ogni occhiata, il pericolo qui fuori è reale e non c’è nessuno disposto a salvarlo, o almeno così sembra
Gabriele Clima racconta quanto possa essere difficile per un ragazzo vivere nella sua stessa pelle, soprattutto quando è nell’ambiente familiare che trova il maggiore ostacolo. Il viaggio di Nino è crudo, sembra bisogno di indorare la pillola il suo percorso è reale, il suo dolore e la sua disperazione sono tangibili. Si ritrova a crescere in fretta, a capire che l’unico modo per farcela è accettarsi, anche se questo significa andare contro tutto e tutti.
A Nino viene chiesto un enorme atto di coraggio, deve calarsi in un pozzo oscuro, affrontare un cieco labirinto senza nessuna guida e ritrovare se stesso nel suo centro, con una piccola spinta si ritrova a camminare sulle sue gambe senza più distogliere lo sguardo, fiero di poter finalmente indossare i suoi panni e non quelli scelti da qualcun altro.
Volare con le ali sbagliate equivale a cadere, rinnegare la propria forma e cercare di essere qualcosa che non si è veramente solo per compiacere lo sguardo di tutti gli altri, ma rialzarsi sembra più facile quando si ascolta col cuore e non con le orecchie.
di Sandy Mercado