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cartadocente

L'antidoto

Lettura candita - 27 novembre 2020

"Conny dorme in una cesta con un rivestimento trapuntato sotto il letto di Sandie. Presto, e casualmente, gli capita di scoprire perché. Quando il terribile cane nero fa la sua discesa dall'orizzonte dei sogni di Sandie. Quando le geme e si contorce, Conny esce da sotto il letto con un avvertimento che gli risuona e si ingrossa in un latrato. Due bastano a fare il loro dovere. Sandie scivola fuori dall'incubo e si china verso Conny, accarezzandogli assonnata il soffice spazio tra le orecchie. 'Bravo, bravo. Va tutto bene. Va tutto bene adesso'."

Conny è l'antidoto.


Uno spaniel incrociato con qualcosa d'altro che la neuropsichiatra Aziza consiglia alla madre di Sandie di prendere in casa per annullare gli effetti devastanti di un incubo ricorrente che la bambina ha spesso di notte. Un cane nero che, nella notte, la spinge verso uno strapiombo dove lei ha il terrore di precipitare. In lontanza, nell'incubo, Sandie vede solo dei bagliori gialli, rossi che paiono vermi. Il cane nero che incede inesorabile verso di lei, il buio della notte e il vuoto alle sue spalle sono ormai un'abitudine del suo sonno che si interrompe sempre con un urlo. Sandie ha una sola arma per combattere: non dormire, ma questo la porta inesorabilmente verso lo studio di Aziza.
Avere un cane vero accanto, cancella lentamente gli incubi notturni e Sandie cresce con Conny al suo fianco fino al giorno in cui, già grande, va per la sua strada che la porta lontano. Quando Conny, già vecchio, morirà per Sandie non sarà solo dolore, ma anche il riaccendersi delle sue paure notturne.
Non c'è più Aziza, o il lettone della madre ad accoglierla.
Fino alla notte in cui, di pattuglia con il suo collega, la neo poliziotta Sandie affronta in prima persona, e forse per la prima volta, la paura.


Non ha solo un'arma per difendersi, ma anche un bel po' di coraggio, lassù in cima a quel palazzo, nel buio della notte, con un cane nero che arriva e con i bagliori dei fari, gialli, rossi, che paiono vermi...


Ancora Mal Peet, ancora Emma Shoard, ancora una volta insieme per un libro illustrato concepito per i più grandi. Ancora una storia potente, notturna che parte da un incubo ricorrente che una ragazzina di dieci anni confessa a sua madre.


Il percorso che fanno insieme, madre e figlia, per uscirne, una strada tutta al femminile, le porta ad Aziza un medico sensibile e capace, che propone un antidoto al terrore: e così arriva un cane dalle grandi orecchie, da qui il nome Conny che tanto somiglia alla parola coniglio, che riempie le giornate di questa ragazzina e le rende le notti sempre più serene. La soluzione sarebbe a un passo, ma sarebbe troppo esile per lo standard a cui ci ha abituato Mal Peet. Così tutto decolla nuovamente, con Sandie ormai adulta che apprende della morte di Conny dalla voce della madre, una sera al telefono. Ma la direzione presa dal racconto è del tutto diversa, inaspettata per il lettore e apparentemente divergente dalla questione di partenza. Da racconto dark, con pennellate forti che virano verso l'onirico, si trasforma in un racconto di azione, uno squarcio fortemente cinematografico che racconta una notte complicata di giovani poliziotti di pattuglia.


Eppure tutto torna a collimare alla perfezione: una seconda storia che si incastona nella prima e ne rappresenta in qualche modo il senso ultimo.


Ancora un buon libro che nasce con l'intento di tenere incollati i propri lettori, anche i più recalcitranti, con due sistemi sicuri: un plot robusto e una llustrazione che non lasci dubbi sul fatto che è concepita per 'grandi'.
In questo senso i due, Peet e Shoard, non si intimoriscono a rivolgersi a un pubblico 'difficile', esigente oppure distaccato rispetto al libro, per di più, illustrato. La scrittura è scabra, tagliente e diretta. Così come è autentica è la costruzione del contesto, dello sfondo.
Diventano vera e propria visione le prime pagine in corsivo, dedicate a una sorta di 'soggettiva' dell'incubo ricorrente. Noi tutti tiriamo un sospiro di sollievo nel momento in cui capiamo di essere in un sogno, seppure drammatico. E lo sono altrettanto le pagine conclusive, che di nuovo raccontano come se fossero espressione dello sguardo di una telecamera che sta riprendendo l'azione.
Un cronista attento, che sa che per far bene il proprio mestiere è saggio mantenere la 'giusta' distanza. I suoi lettori, ormai cresciuti, non vogliono farsi prendere per mano e farsi condurre; preferiscono guardare con i propri occhi e camminare con le proprie gambe.
Di questo modo di raccontare Mal Peet ha tratto la sua forza e il suo successo editoriale. Accanto non potrebbe aver avuto compagna migliore, la Shoard, solo un po' meno felice e coinvolta nel segno, di come l'abbiamo vista in Il nostro albero, ma sempre all'altezza. Che è sempre vertiginosa.

di Carla Ghisalberti

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