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Recensione di In cielo, ma dove? su Mangialibri

Mangialibri - 26 gennaio 2021

Andrea si diverte a palleggiare, cercando di rimanere concentrato per non far toccare mai il pallone a terra. Impresa quasi impossibile se tuo fratello minore continua a chiamarti come solo i fratelli minori sanno fare, ripetutamente e, forse, senza una motivazione convincente. Il divertimento finisce quando il pallone per un errore di distrazione finisce sotto ad un cespuglio. Andrea a quel punto raggiunge arrabbiato Luca, la fonte di quel fastidio, per fargli capire che non vuole essere disturbato. Lo trova a fissare un punto preciso accanto alle sue scarpe, dove giace un passero morto. A quattro anni Luca ha mille domande da porre, soprattutto vuole capire se mai quel passero tornerà a volare un giorno. Cosa significa morire? “Morire” è “andare in cielo” come dice la madre quando gli mostra la foto di quello zio Davide morto così giovane? Andrea cerca di mantenere la calma per spiegare quello che lui sa della morte, ovvero che non c’è possibilità di ritorno, se non nei ricordi. Lui, da piccolo, quello zio simpatico lo ha conosciuto e ancora gli vengono in mente le frasi che gli diceva per farlo divertire. L’unica cosa da fare per calmare suo fratello non rimane che dare una giusta sepoltura al passero per non farlo mangiare da un gatto di passaggio. E tornare in silenzio a casa, mano nella mano…

Il tema della morte è tra gli argomenti più difficili di cui parlare con i più piccoli, che non riescono bene a comprendere quel passaggio inevitabile della vita di ognuno di noi, proprio perché alla loro tenera età difficilmente riuscirebbero a capire perché si debba finire di vivere quando si è appena iniziato. Qui ci troviamo di fronte ad un ragazzo di dodici anni che deve cercare le parole giuste per chiarire un concetto così enorme ad uno di quattro. I perché ne fanno nascere inevitabilmente altri e districarsi risulterebbe difficile anche per un adulto, che si presuppone abbia gli strumenti giusti per uscirne indenne. Andrea è un adolescente tipico quando, messo di fronte a quesiti più grandi di lui, cerca di sviare i discorsi con i suoi “basta”, i suoi “lascia perdere” e i suoi “finiscila”. Assimilare il passero morto stecchito con il pollo mangiato la sera precedente, se concettualmente ha senso, avrebbe senza dubbio traumatizzato ogni ragazzino di quattro anni ancora intento a trovare una strada nel mondo. Le illustrazioni di Antonio Ferrara sono molto delicate e dal tratto leggero e morbido, con una colorazione mai definita, ma gradevolmente accennata, proprio come le parole di Antonella Ossorio.

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