Andersen la rivista - novembre 2021
Lo confesso: a lungo ha paventato il lieto fine mentre leggevo questo raffinato, teso, profondo racconto di Anna Vivarelli. Come nei migliori polizieschi - non lo è: ma a tratti ne ruba qualche vezzo - avverti subito che, seppure i confusi tasselli iniziali andranno più o meno a posto, quel che via via emergerà dalla vicenda sarà molto più complicato e persino più doloroso del crimine in apertura di scena. Ne La fisica degli abbracci, titolo azzeccassimo che allude alla scienza ma anche al corpo, all’intelligenza (qui enorme, sconcertante) ma anche all’affettività o meglio al suo disperato quanto inconsapevole bisogno, la storia pur misteriosa è persino secondaria rispetto allo scavo psicologico dei due bizzarri protagonisti: nati e vissuti lontani anni luce, il caso li fa incrociare senza un perché. Sono due figure che, per strade diverse, vanno faticosamente cercando una propri collocazione nel mondo. Dora. Badante rumena nel centro di Torino (abitando però nella periferia estrema), sopporta le angherie dell’anziana presso cui va a servizio nella speranza di offrire un riscatto sociale alla deludente famiglia lasciata in patria. Possiede un’unica risorsa a suo sostegno, la forsennata lettura di romanzi rosa a buon mercato e a happy end garantito, che le regalano gli unici sogni al termine della pesante giornata di lavoro (ma, senza che lei se ne avveda, anche il domino sempre più sicuro della lingua italiana).
L’altro protagonista è Guglielmo detto Will, nato italiano da una ricca coppia sgangherata e spedito fin da bambino a Cambridge a contribuire al progresso della fisica: è quel che si dice un « superdotato », un « mostro di intelligenza », un relegato di lusso insieme ad altri « mostri » suoi pari, tutti indotti a spremere il massimo dal loro cervello avendone in cambio pasti frugali e dormitori comuni. Alcuni di loro soccombono, spesso a mille miglia da casa e del tutto incapaci di affrontare il mondo esterno. Will è uno di questi: un giorno scompare, scarpe da ginnastica ben appaiate in riva al Cam, brevi indagini, caso chiuso. Un genio di meno.
C’è poi un terzo personaggio, il vero deus ex machina: ma lascio al lettore scoprirne l’intrigante complessità.
A lungo, dicevo, ho temuto il lieto fine, che molti nella letteratura giovanile ritengono esito indispensabile. Ma Anna Vivarelli sa ben destreggiarsi tra esistenze lontanissime che via via scoprono nei propri passi non la conclusione definitiva delle loro difficoltà, ma la forza di andare avanti. Che non è, ammettiamolo, coraggio da poco. Meglio, molto meglio di un happy end.
Di Carla Ida Salvati