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Recensione di La fisica degli abbracci su Liber

Liber - 19 gennaio 2022

Scrivendo de La fisica degli abbracci di Anna Vivarelli non si può non partire dall’incipit. “A nove anni sono entrato a Cambridge e a undici mi sono laureato. A dodici anni tenevo un corso al Trinity College sulla teoria dei campi e mi specializzavo in fisica delle particelle. A quattordici anni, sette mesi e sette giorni sono morto”.
L’incipit – e lo stile – sono tutto, come ha magnificamente mostrato Luigi Lo Cascio nel suo Ogni ricordo un fiore, dove ne ha immaginati 230 per uno scrittore sospeso tra occasioni perdute e infiniti sogni, inizi.
Eppure da questo incipit-prologo che introduce in prima persona il protagonista – Will Malvasi, sedicenne dal quoziente intellettivo iperbolico, che per riposarsi conta i numeri primi e ha ereditato dalla propria famiglia e dal mondo tanta ricchezza quanta assoluta deprivazione affettiva e inadeguatezza alla socialità – la narrazione prende vie inaspettate.
“Niente è come sembra” – direbbe lo sguardo incommensurabile di Franco Battiato. Da dove parla allora quella voce? Dal limbo in cui come altre simili è rinchiusa? Risuonano così le note de Il dramma del bambino dotato di Alice Miller e del film Il mio piccolo genio di Jodie Forster, con l’ironia de Il giovane Holden.
E a sorpresa il racconto procede in terza persona, affiancando a quello di Will il personaggio in apparenza diversissimo di Dora, signora rumena cinquantenne in Italia per prendersi cura di un’anziana insopportabile, lavoro per il quale non userò la logora parola. Perché Vivarelli vuole sventare stereotipi. Sarà Dora con la sua intelligenza emotiva, coi suoi ricordi d’infanzia, col suo pianto una volta a settimana per il figlio perso in carcere, col suo amore per il cibo fatto in casa, a tirar fuori maieuticamente dal ragazzo la sua vena più umana, la sua capacità di prendersi cura di lei. A questo si aggiungeranno un professore indiano premio Nobel e una professoressa di vaglia, che osserva: “siamo prodigi importuni”. I cattivi menomale resteranno tali, come i genitori di Will, “la vecchia” di Dora e la di lei figlia.
Unico nello stile, attento a ogni singolo dettaglio dei personaggi, il romanzo di Vivarelli sa anche dirci in filigrana di questi nostri tempi senza abbracci, il pericolo più grande.

di Maria Grosso

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