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La solitudine del genio adolescente: "La fisica degli abbracci" di Anna Vivarelli

Critica Letteraria - 5 marzo 2022

Candidato tra i finalisti nella categoria Young Adult al Premio Orbil 2022, assegnato da un gruppo di librerie indipendenti, questo breve romanzo di Anna Vivarelli colpisce per la commistione di ironia e delicatezza con cui affronta il tema della plusdotazione e della solitudine di chi ne fa esperienza.
Pubblicato dalle edizioni Uovonero con un carattere ad alta leggibilità che lo rende più facilmente fruibile a tutti i lettori, il testo narra la storia di Guglielmo Malvasi, detto Will, genio precoce e infelice, che arrivato a quattordici anni, sette mesi e sette giorni decide di inscenare la propria morte. Supportato dal premio Nobel Anatram Vikram, che ha creato una rete di sostegno per persone come lui, dal quoziente intellettivo elevatissimo ma scarse attitudini sociali e poca familiarità con le incombenze della vita quotidiana, Will cerca di sfuggire alle maglie di un sistema di cui non sopporta più le pressioni e a una famiglia anaffettiva che è “un manuale di eccessi, egoismi e avidità” (p. 7). Dopo un po’ di tempo trascorso nella comunità per menti geniali di Subha, la sua inquietudine ha nuovamente il sopravvento:
Non aveva più voglia di convivere con cervelli come il suo, persone per niente rassicuranti. Invece di sentirsi più normale, si era specchiato nelle ossessioni degli altri, e questo gli aveva causato numerose crisi d’ansia. (p. 34)
Nel suo tentativo di iniziare una nuova vita, libera dai condizionamenti e dalle aspettative altrui, il suo tener conto di tutte le variabili, associato alla capacità di fare proiezioni circa il futuro, non lo tutela però dall’intervento del caso.
È così che il suo cammino incrocia quello di Dora, badante rumena cinquantenne, grande appassionata di cucina etnica e di romanzi rosa, alle prese con una anziana prepotente e la difficoltà a pagare le bollette. Dora ha poco, ma è generosa e pragmaticaAccogliere Will, con tutte le sue piccole manie e la sua incapacità di esternare sentimenti o di cogliere le metafore nei discorsi altrui, è per lei del tutto naturale. Per niente intimidita dalla sua ritrosia o dalla sua intelligenza matematica, Dora lo vede per quello che è, un ragazzino che avrebbe bisogno di storie e di maggior contatto umano. Eppure per lei, che per Will è un po’ amica, un po’ madre e un po’ nessuna delle due cose, è impossibile cogliere davvero cosa si nasconde nella mente del ragazzo prodigio:
Bisognava esserci nati, con quei cervelli che bruciavano le tappe a ritmi vertiginosi, lasciando indietro emozioni, infanzia, adolescenza e qualsiasi altro passaggio inutile per l’accesso ad accademie, università, istituti, dipartimenti. Quelle menti erano fenomeni rari nati perlopiù in famiglie normali, di cui inizialmente apparivano come fiori preziosi, ma che presto diventavano strane escrescenze. Dopo un po’ i punti di contatto si assottigliavano e i ragazzi si staccavano come corpi estranei. (p. 53)
Anna Vivarelli, con pochi tratti e nessuna retorica, è abile nel descrivere l’isolamento, il senso di spaesamento e inadeguatezza di un ragazzo, e di tanti come lui, spesso affetti da disturbi dello spettro autistico, prigionieri di “quell’incantevole alterità che se c’eri dentro non era incantevole per niente” (p. 54), poco compresi da vicini e famigliari, in effetti quasi completamente soli. Quella narrata dall’autrice avrebbe potuto essere soltanto una storia di amicizia, di incontri salvifici e di percorsi di riscoperta di sé. Sarebbe stata, in quel caso, semplicistica e forse melensa. È invece con una prosa asciutta, fitta di dialoghi battenti, che Vivarelli ci mostra le difficoltà di questo percorso. Perché per qualcuno non basta incontrare una persona speciale e accogliente per sentirsi a casa. E a volte sono necessari il tempo, la pazienza, le esperienze e le occasioni propizie, per potersi incontrare davvero.
 
di Caterina Pernigo
 

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