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Chi fa i nostri abiti? Impariamo a leggere le etichette

L'Osservatore Romano - 28 marzo 2023

Leggo il Daily Inqilab (...) con mia grande sorpresa, non trovo niente che riguardi Hazaribagh, le concerie, il fetore pestilenziale, l’inquinamento, i malati e i morti. Come se questa bidonville con i suoi lavoratori e i suoi abitanti non esistesse».

Arriva nelle librerie italiane la seconda puntata delle Cronache lunari di un ragazzo bizzarro, alias le avventure di Sacha Sorieau, adolescente Asperger parigino che, dopo aver subito a scuola un grave atto di bullismo che l’ha quasi ucciso, vive in giro per il mondo al seguito della madre, medico umanitario per una ong. E così se nel precedente Una piccola cosa senza importanza (Uovonero, 2021) eravamo in quella terra difficile e complicata che è la Repubblica Democratica del Congo, ora invece troviamo Sacha in Bangladesh. E qui, nel campo base dell’associazione “Il Rifugio”, fa amicizia con Sultana, una delle tante bambine lavoratrici-schiave costrette a turni massacranti nelle aziende della città, e con suo fratello Dilip.

In Dacca toxic (Crema, Uovonero, 2023, pagine 170, euro 15, traduzione di Ilaria Piperno e Sante Bandirali) di Catherine Fradier, Sacha e il suo sguardo bizzarro e sincero entrano dunque in contat- to con la vita degli sfruttati degli slum, con gli ultimissimi della scala sociale, di fatto schiavizzati per as- sicurare benessere e vita comoda al nostro Occidente.

Sultana è un’orfana che, a causa delle sostanze chimiche utilizzate nella conceria dove lavora, ha perso un occhio ed è rimasta sfigurata. La sola persona che si occupi di lei è il fratello di poco più grande, con cui è fuggita dal villaggio d’origine dopo una devastazione naturale che ha letteralmente spazzato via ogni cosa. Ed è proprio da Dilip che Sacha viene trascinato in un’avventura pericolosissima: trafugare un taccuino che documenta nero su bianco la terribile quotidianità dei bambini sfruttati. Dilip non ne fa una questione di principio, vuole semplicemente salvare sua sorella: ha ben chiaro che quel taccuino può essere una merce di scambio preziosa per assicurare a sua sorella la possibilità di studiare, salvandosi per sempre dalla sua condizione di sfruttata.

Seguendo Dilip nella caccia del taccuino, Sacha attraverserà letteralmente l’orrore: la violenza, il pericolo e la sporcizia in cui sono immersi i lavoratori-schiavi di ogni età; le sostante tossiche maneggiate, respirate e ingerite; il trattamento inumano e crudele a cui sono regolarmente sottoposti bambini, adulti e animali; la corruzione endemica di ogni apparato pubblico; una capitale stremata dal traffico e dalla totale mancanza di infrastrutture e regole sanitarie.

C’è la disabilità, nel romanzo di Fradier («Non prendo in giro Nirod, a differenza degli altri ospiti, nemmeno quando guarda un libro nel senso sbagliato o lecca la fotografia di un frutto sulla carta patinata di una rivista. E il motivo per cui non rido è che io stesso sono disabile. So cosa si prova quando gli altri ridono di te perché non si è data la risposta giusta o non ci si è comportati nel modo adeguato»). Ancora una volta, però, la disabilità non viene sbattuta sotto i riflettori, ma si rivela con estrema naturalezza pagina dopo pagina nel racconto quotidiano di questo ragazzo Asperger («Imparare a decodificare le emozioni degli altri è molto più complicato che ricordare i decimali di pi greco»).

È un romanzo che alterna la poesia dell’amicizia tra questi due ragazzini fragili con temi molto forti e importanti. Il bullismo, lo sfruttamento, la violenza fisica e morale, i diritti degli ultimi (bambini in primis) sistematicamente violati, il ricatto elevato a regola, un sistema economico il cui solo imperativo è produrre il più possibile a costi irrisori, la difficoltà di essere accettati e compresi nelle proprie difficili storie, il dramma dei rifugiati climatici.

Abbiamo letto Dacca toxic un attimo prima de La moda giusta (Torino, Einaudi, 2023, pagine 112, euro 12, traduzione di Andrea De Benedetti) in cui la giornalista spagno- la Marta D. Riezu invita a vestire in modo etico. Non rifiutando la moda, ma vivendola con consapevolezza, il che significa proteggendo la saggezza dell’artigianato, sostenendo la produzione locale, capendo dove e da chi sono prodotti gli abiti che troviamo sugli scaffali: non è solo questione di comprare meno e di usare gli stessi indumenti nel tempo, ma piuttosto e soprattutto di scegliere meglio.

Ecco, anche Dacca toxic può aiutarci sin da piccoli a leggere dietro le etichette degli abiti che indossiamo, può svelarci e farci riflette

re su cosa implichi il Made in Bangladesh. Perché, come la sindrome di Sacha viene raccontata dall’interno, così la vita negli slum è presentata mettendosi nei panni degli abitanti che non sono numeri o schiavi, ma persone umane. Il perché lo racconta ai giovani lettori Fradier e agli adulti, con semplicità e chiarezza, Reizu: «L’industria tessile — scrive quest’ultima — è un modello basato sullo sfruttamento della povertà». E la responsabilità è anche la nostra: «Acquistare qualcosa ci rende complici involontari del suo processo di creazione». Nel mondo ci sono 75 milioni di lavoratori che confezionano vestiti: meno del due per cento percepisce un salario sufficiente a sopravvivere. Il che significa che il restante 98 per cento è costituito da persone prive di qualunque forma di protezione. Proviamo a conoscerli, ad ascoltare la loro voce, e la moda non potrà più essere la stessa.

di SILVIA GUSMANO

 

 

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