Hermes magazine - 30 giugno 2023
In libreria dal 26 maggio e in anteprima al Salone Internazionale del Libro di Torino, Tanto amore non può morire di Moni Nilsson e tradotto da Samanta K. Milton Knowles. Con una scrittura semplice, d’impatto e venata di un quotidiano realismo, Moni Nilsson scrive un romanzo sulla vita, sull’amicizia e su quell’amore che non può morire mai. La storia di Lea aiuta ragazze e ragazzi ad avvicinarsi a uno dei temi più difficili da affrontare, la perdita prematura di un genitore, usando il linguaggio delle loro emozioni.
“Le mamme degli altri sono al lavoro. La mia è quasi sempre a casa, da quando ero in prima. Dice che il suo lavoro è guarire. E amarmi dalla mattina alla sera.”
La trama
Lea adora il calcio, i delfini e viaggiare con la famiglia, ma soprattutto stare con Noa, la sua migliore amica. Sono inseparabili fin da piccolissime, ma quando Noa le dice con schiettezza di aver visto la sua mamma dichiarare in tv di essere in fin di vita, comincia a odiarla. E si convince che se riesce a disprezzarla più di ogni altra cosa al mondo, sua madre, malata di cancro, non morirà veramente.
La rabbia di Lea per quello che le sta accadendo inizia a intaccare ogni aspetto della sua quotidianità: smette di andare a calcio, inizia a prendere a pugni i suoi amici e a voler passare le giornate da sola, o al massimo con l’anziana vicina Alma e il suo bassotto, che non le fa domande sui suoi sentimenti e sulle sue emozioni.
Nonostante tutto, però, deve andare avanti e sarà proprio sua madre a farle capire quanto sia importante trovare la forza di reagire e di amare, anche quando le cose non vanno come dovrebbero, e il primo passo potrebbe essere proprio fare pace con Noa.
Un romanzo pieno di amore per la vita
Con grande delicatezza e intuizione, Moni Nilsson rappresenta uno dei più forti dolori che si possano provare, quello della perdita prematura della mamma, in un romanzo coinvolgente, pieno di luce e di amore per la vita. Con un linguaggio diretto, istintivo e molto intimo, i sentimenti di Lea emergono in tutta la loro intensità dalle pagine scritte in prima persona, indagando temi fondanti come la sofferenza, la gestione della rabbia, l’importanza dell’amicizia e della comunità nei momenti duri e della comprensione dell’altro, la voglia di essere normali e di non sentirsi compatiti.
Quando siamo tornati a casa, la mamma si è ammalata di nuovo e ha perso tutti i suoi capelli ricci. Sulla sua testa lucida ho disegnato una razza che non è venuta benissimo, un delfino e un pesce a righe azzurre. Volevo che pensasse più al nostro viaggio che alla malattia. E anch’io. È più bello pensare alla Polinesia francese che al cancro.
La famiglia di Lea è un caleidoscopio che riflette tutti i possibili tipi di reazioni umane al dolore e all’elaborazione del lutto e Nilsson racconta ogni comportamento in maniera comprensiva e mai giudicante, usando le lenti di una ragazza che sta imparando a capire il mondo.
La morte come elemento naturale della vita
La morte, presentata come un elemento naturale della vita, per quanto difficile da comprendere, viene affrontata con un approccio laico e tanto spazio è riservato alle voci e all’affetto di tutti coloro che gravitano intorno alla mamma di Lea – le sue amiche più care, il marito, i figli, i vicini – rendendo il romanzo onesto, accessibile e utile per avvicinare i ragazzi alla delicata tematica del lutto.
“‘Posso darti una mano?’ Chiede Lucas mentre sto dipingendo la bara in soggiorno, dove stava il letto ospedaliero della mamma. ‘Sì’ rispondo. Dipingo squali, delfini e razze. Dipingo il grande castagno sulla collina nel parco […] Lucas e io dipingiamo. E dipingiamo. E ascoltiamo la sua musica preferita. Per giorni e giorni. Torniamo alla vita dipingendo. La mamma è dappertutto.”