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Le due vite di un concertista mancino

L'osservatore romano - 13 giugno 2023

Due braccia, due gambe, due occhi, due piedi, due reni. Il doppio ce lo portiamo dentro, strutturalmente presente nel corpo umano. Tutt’altro che mero doppione messo a punto in caso di necessità, cosa succede se uno dei due molla la presa?

Tratto da una storia vera, una possibile risposta a questa domanda è uno degli ul- timi libri usciti nella collana dell’editore Uovo Nero I Geodi (sassi tondeggianti apparentemente trascurabili che, se si sa come aprirli, nascondono al loro interno tesori di cristallo colorato). Nell’ambito di un progetto editoriale che presenta testi in grado di gettare uno sguardo diverso sul mondo, ecco Per mano (Crema, 2023, pagine 40, euro 16,50) di Sante Bandirali e Gloria Tundo. L’albo racconta la storia di Paul Wittgenstein (1887-1961), il pianista austriaco naturalizzato statunitense noto per le sue esibizioni con il solo braccio sinistro, avendo perso il destro dunque la Grande guerra.

Io narrante del libro è proprio la mano superstite, lei che, dopo aver smarrito il suo doppio a seguito dell’inevitabile amputazione, troverà comunque il modo di riportare il giovane alla musica: «Il mio Paul, a cui ero rimasta soltanto io, non era più nemmeno in grado di provvedere a se stesso. Ma era forte, il mio Paul, e a poco a poco cominciammo insieme a trovare il senso delle cose. Con me imparò a lavarsi. A radersi. A mangiare. A vestirsi. A tornare a poco a poco un uomo».

Conosciamo Paul bambino a Vienna nella casa in cui vive con la famiglia numerosa, ricchissima, infelice e talentuosa — ognuno dei 7 figli ha il suo talento (basti pensare a Ludwig, il futuro celebre filosofo). Anche la madre ha una grande sensibilità musicale, a differenza del padre duro e insofferente verso le velleità artistiche della prole.

È in questa casa che nasce l’amore di Paul per il pianoforte, ma è parimenti qui che questo amore rischierà di soffocare in un’infanzia molto tormentata. Il giovane protagonista ha, del resto, una caratteristica che lo mette in cattiva luce: è mancino. Siamo a fine Ottocento, all’interno di una cultura che considera ancora la sinistra la mano del diavolo, che vede nel non essere destrorso una disgrazia. E invece, sarà proprio questa la fortuna di Paul.

Musicista di talento già prima della guerra, è nel campo di prigionia in cui viene rinchiuso che Paul inizia a reimparare a suonare con una mano sola, dapprima su un pianoforte disegnato su una vecchia cassa lignea abbandonata, e poi su uno strumento sgangherato e scordato, ma comunque vero. La passione e il desiderio di esprimersi saranno tali da fargli compiere un altro grande passaggio: una volta liberato, infatti, Paul non si accontenterà di cercare di adattare al suo nuovo sé la musica scritta per due mani. Capendo che in questo modo l’assenza della mano destra si sarebbe percepita ancor di più, riuscirà a convincere alcuni dei più grandi compositori del suo tempo a ideare dei concerti su misura per lui. È l’inizio di un’incredibile carriera la cui forza risiederà proprio nel dare valore a quello che c’è, rifiutando di porre l’accento su ciò che manca. Seguendo questa strada, la musica di Paul Wittgene- stein sarà unica e perfetta.

Non che le cose siano state facili: scioccato dalla sua nuova condizione di persona con disabilità, a Paul servirà tempo, molto tempo per rimettersi in piedi. Ma la sua storia dimostra una verità incontrovertibile: è l’ambiente a creare la disabilità. Se l’ambiente si fa inclusivo, allora la disabilità da difetto di fabbrica, da mancanza, diventa una caratteristica.

Il rampollo di una delle più ricche e tragiche famiglie dell’impero asburgico è così al centro di questo albo crudo e poetico. Il doppio è anche questo: una mancanza, impossibile da dimenticare, in grado però di diventare un canto d’amore per la musica e la vita che germoglia proprio dove — a causa della frattura e della privazione — rischiavano di attecchire solo rabbia e odio.

di Silvia Gusmano

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