Azione - 16 ottobre 2023
«Uno sciame di libellule d’argento». Ecco cosa sembravano quelle mani sui tasti del pianoforte. Libellule «che risuonavano di gioia e di lutto, di tormento e di pace», così come la storia che ci viene raccontata. È la storia, vera, del pianista Paul Wittgenstein (1887-1961), fratello del filosofo Ludwig. Erano in otto, i fratelli Wittgenstein, e la loro era una delle famiglie industriali più ricche dell’Impero Austroungarico. Una famiglia frequentata, grazie alla sensibilità della madre Leopoldine, da musicisti come Brahms, Mahler, Clara Schumann, Bruno Walter, un milieu coltissimo, che non poteva che favorire il talento musicale dei ragazzi, pur con la strenua opposizione del padre, che voleva i figli maschi non nell’arte ma in acciaieria. Tre di loro finirono con il suicidarsi, e ciò rende ancora più sorprendente questa storia di resilienza, così permeata di passione per la vita. Se ce n’era uno che avrebbe potuto arrendersi era proprio Paul, dopo che nel 1914, in guerra, sul fronte orientale, venne colpito e si risvegliò in ospedale, prigioniero dei russi, con il braccio destro amputato. Senza il braccio destro. «E io ero rimasta da sola, a condividere con lui il gioioso ricordo dei passati trionfi e la disperazione di un futuro senza musica, di una carriera amputata, proprio come il suo braccio». Chi racconta questa storia è la mano sinistra di Paul, la quale si trova, grazie alla commovente forza vitale del pianista, a cercare in ogni modo di «riempire da sola il silenzio della mia perduta sorella». Prigioniero in un campo di internamento in Siberia, Paul trova una cassa di legno abbandonata, vi incide i tasti di un pianoforte, e comincia a esercitarsi. Con ciò che gli resta. Ogni giorno, esercita quella mano sinistra su quel ruvido asse, sempre tenendo accesi passione e desiderio, senza arrendersi, neanche quando sarà di nuovo a casa, in Austria, e potrà nuovamente sedersi a un pianoforte e affrontare il pubblico. Perché lo affronterà, il pubblico, con concerti adattati o scritti appositamente per la mano sinistra, come il celebre Concerto che Ravel scrisse per lui, e come tutte quelle meravigliose esecuzioni che facevano percepire non una mancanza ma «una ricca presenza». La scrittura elegante di Sante Bandirali riesce in poco testo (quello consentito da un albo illustrato) a darci immagini e squarci poetici, sempre filtrati attraverso (e anche questa scelta enunciativa è interessante) la prospettiva narrante della mano sinistra. Una prospettiva quasi tattile, luminosa e dinamica: «Saltando e danzando, sentivo sotto di me l’avorio levigato dei tasti e le schegge della cassa di legno».
di Letizia Bolzani