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cartadocente

Tra terra e cielo

Lettura candita - 4 gennaio 2024
 
"L'altalena era sempre stata lì. 
Se ne stava di fronte al mare e invitava tutti a sedersi. 
Era un posto dove incontrarsi... 
...e dove stare da soli. 
Un posto dove essere molto felici... 
...e un posto dove pensare e prendere decisioni importanti. 
Un posto dove tutto cominciava... 
...e finiva." 
 
Una semplice struttura di tubi in ferro da cui pendono quattro catenelle che tengono rispettivamente un'assicella che fa da sedile. Fissata al terreno che è un prato, sullo sfondo ha il mare. In mezzo, solo aria. Cielo. 
Ecco, da quell'altalena si poteva guardare il cielo confondersi con l'acqua e lei stessa era a metà tra terra e cielo, tra stare con i piedi assicurati al suolo e volare. 
Lì ferma, era accogliente e silenziosa. Vuota e piena.
Faceva il suo lavoro da altalena, ovvero su quelle due tavolette bambini si sedevano e si dondolavano a piacere: forte o piano. Gli animali di passaggio, veri o immaginati, non la degnavano di uno sguardo. Tranne le volpi, gli uccelli e gli scoiattoli.
Le persone, vere o immaginate, invece, non le resistevano: vecchiette pensose, bambini da soli, amiche per la pelle, ragazzetti spericolati. Tutti a loro modo si facevano il loro giro in altalena. 
 
Fosse d'estate, tra le lucine delle feste, al tramonto o al buio con gli innamorati. Fosse d'autunno, con il vento e la pioggia e magari qualche litigata tra amici. Era un posto dove ci si poteva sedere e coltivare le proprie malinconie, ma anche liberarsi la testa dai pensieri. 
E ci si poteva concentrare sui propri sogni: quello di Peter era diventare un gran nuotatore. 
A primavera, tra le margherite e i denti di leone, in inverno, coperta dalla neve. Ci si poteva dondolare piano o fortissimo, saltarci giù al volo verso le braccia di qualcuno, o dormirci sotto in una tenda, circondato dalle lucciole e da nonno. 
Fino alla grande tempesta di marzo. L'altalena da quel momento non fu più la stessa. Rotte le catene e le assi di legno perdute. Gli arbusti selvatici lentamente la ricoprirono e si ripresero lo spazio. Fino al giorno in cui un uomo, Peter, che in gioventù era stato un valente nuotatore, la riconobbe e con il proprio bambino in braccio cominciò a liberarla dalle erbacce. 
Dal giorno dopo non fu più il solo a prendersene cura. 
 
L'altalena è un luogo dell'immaginario. E' un pezzo di infanzia che non si dimentica. Oltre che essere un catalizzatore di ricordi. 
 
Fa bene Britta Teckentrup a mettere in una sorta di poetica lista e galleria di immagini quello che può accadere intorno a un'altalena. E lo fa, costruendo un altrettanto suggestivo scenario per i diversi e singoli momenti che l'hanno vista protagonista. Lei, come spesso accade, fa anche di più e la trasforma in testimone muta del tempo che passa, delle stagioni (e delle età) che si susseguono, della luce e del buio e degli intrecci umani che accadono intorno a lei. 
 
Non saprei dire se sia un luogo di gioco anche per i bambini e le bambine a latitudini diverse dalla nostra, ma parrebbe evidente che il suo potenziale di rampa di lancio per voli controllati ne abbia resa necessaria l'invenzione per l'umanità terreste tutta. Intendo dire che ogni bambino che ci sale sopra immagina di volare e quella sensazione gli si infila così tanto nell'anima che anche crescendo non si può dimenticarne la potenza. 
Il volo è interdetto a chi non è progettato per farlo... E quindi poterlo avvicinare con tanta immediatezza e semplicità non è roba da poco, che si scorda facilmente. Ragione per la quale, molto spesso ai giardini - spesso fuori orario - sulle altalene ci sono i ragazzetti che ne fanno usi 'sperimentali', oppure gli adulti che ci si dondolano per svuotare o riempirsi la testa e qualche nonna più ardimentosa di altre che, accennando con le gambette solo all'abbrivio del movimento, riesce a rievocare quanto fosse emozionante, all'epoca dondolarsi con tutta l'energia. 
Credo di non allontanarmi dalla verità sostenendo che la stragrande maggioranza delle persone ha un proprio personale immaginario sulle altalene. 
Il mio: da quella della scuola elementare nella pinetina di Monte Mario, ambitissima e occupata dal fidanzato muscoloso di turno e poi ceduta dallo stesso alla sua donzella con gesto cavalleresco. E noi lì a far la fila... 
Da quella privata, costruita nel giardino nella casa di campagna dei cugini piemontesi ricchissimi, fino ad arrivare all'amaca - versione di altalena da adulto godereccio che non dimentica la gioia di essere sospeso a mezz'aria - che appare lì su un terrazzo sempre a Monte Mario e che è tenuta su con due stop e che per il peso della donzella cede sul più bello. Nemesi celebrata nei confronti di quella donzella di allora, che -ora cresciuta- giace a terra, con il sedere dolorante... 
 
Britta Teckentrup tutto questo lo sa bene, magari non così nel dettaglio, ma è piuttosto sicura che il libro L'altalena diventi indimenticabile luogo di ricordi per i più 'vecchi', ma sia anche una gioia per gli occhi e per i pensieri dei più piccoli. 
Tutti, ma proprio tutti hanno da dire qualcosa al riguardo. 
Lei, con la stessa regolarità con cui dondola un'altalena, alterna le pagine di testo a quelle di immagini, ma così come fanno le altalene, è in grado di accelerare o rallentare, di muovere e far oscillare le immagini, dando un ritmo percepibile anche se recondito, alla lettura degli occhi. 
Ancora una volta si prende tutto il tempo di cui ha bisogno per raccontare con la giusta cadenza e con la necessaria aria intorno, spesso come se fosse dietro un obiettivo di una camera fissa. E per incanto anche questo libro diventa di 160 pagine. 
Ancora una volta lavora sulla creazione di uno spazio pieno di aria, luce, ombra vento, pioggia, oscurità e luminosità. 
Ancora una volta gioca d'immaginazione.
 
E ancora una volta è assoluta maestra nel farlo attraverso la sua tavolozza di mezzi toni. 
Ancora una volta è capace di lavorare sulla figura umana e sul suo movimento con un'abilità rara. 
 
Ancora una volta è maestra di trasparenze e di baluginii. 
Ancora una volta è capace di costruire intorno a un luogo un buon intreccio di singole e minuscole storie che ne determinano il senso e lo spessore. 
In sintesi, ancora una volta questa Britta Teckentrup è quella Britta Teckentrup che ci piace. 
 
di Carla Ghisalberti
 

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