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Recensione di Le rose di Shell su Legger-mente

04/05/2016 - Legger-mente

Se la rabbia e l’amore stanno insieme, come aveva detto Padre Rose, doveva significare che amava suo padre. Sapeva di averlo fatto in passato, molto tempo fa, quando lui la cullava fra le braccia e lasciava che lei si arrampicasse sul suo corpo come se fosse un albero. Shell se ne ricordava a malapena. Immaginò tutto l’odio riversarsi dal suo cervello, sgocciolando dalle orecchie. Forse funzionò, perché rialzandosi si sentì più leggera.

Certo volte capita così, per un puro caso ti ritrovi tra le mani qualcosa che senti esser prezioso ma di cui non sai assolutamente niente. E senti la necessità, il bisogno spasmodico di conoscerlo, saperne di più, perché quel tesoro va ammirato più da vicino. In fondo lo sapevo, inconsciamente, che questo libro l’avrei amato da e nel profondo. Seminascosto nello scaffale young adult della libreria, mi ha chiamato, era lì per me, ne sono sicura. L’ho preso senza nemmeno leggerne la trama, perché mi aveva colpito il titolo semplice eppure così diverso dal solito, perché la copertina aveva già fatto il resto e non avevo bisogno d’altro per fidarmi. E ho fatto bene. Quel che ci si trova davanti non è semplice: non lo è lo stile, evocativo ed elegante, inframezzato di lessico poetico, con un sapore di effimero e fragile eppure al tempo stesso di essenziale, crudo e laustrofobico quasi nel non cedere niente, nell’opprimere tanto con le parole quanto coi fatti; non lo è la storia. Miseria, povertà e mancanza di affetto sono le caratteristiche prevalenti, assieme a una freddezza che dal clima non favorevole dell’Irlanda si propaga ai personaggi, rende tutto statico, congelato, ingabbiato in un circolo vizioso e inestricabile di impotenza e silenzio. E fa venir meno l’azione per dar spazio ai moti dell’animo di Shell, piccola protagonista diventata già grande dal momento della morte della madre e la conseguente incapacità del padre di far altro che diventare un fanatico religioso e spender soldi in alcol e sparire per giorni e giorni di casa, lasciandola sola coi due fratellini più piccoli a cui far da mamma, babbo e sorella contemporaneamente, senza una guida che le indichi la strada migliore, cosa dire o fare per loro due ma anche per sé.
Siamo nell’Irlanda del 1984, ieri eppure sembra di trovarsi più indietro nel tempo, in una terra infarcita, come lo è ancora oggi, di folklore e leggende che si intrecciano alla realtà, le mescolano e rendono quasi inscindibili. Sacro e profano, misticismo e ricerca di attinenza ai fatti, una madre che assume quasi le sembianze di una fata, madrina e un padre assente che non si cura di ciò che ha attorno lacerato dal tormento della perdita dell’amore della sua vita. Non esistono i telefoni, in un posto piccolo come questo, tutti ci si conosce ancora prima della nascita e non ci sono passatempi, persino la biblioteca è qualcosa di strano, che arriva ogni tanto su due ruote e poi se ne va senza attirare troppo l’attenzione di una popolazione che non sa, non conosce il vantaggio di un libro. La scuola poi è il piccolo mondo in cui gravitano attorno i ragazzi, un posto che mollano non appena trovano qualcosa che sa meglio offrire loro sostentamento, prospettiva di guadagno. Via dall’Irlanda, i più, e quelli che restano sono bloccati, proprio come Shell, senza futuro e con un presente aspro e complicato, in cui la durezza si aggiunge ad altra durezza e ci si ritrova a confrontarsi con l’impensabile, qualcosa che nemmeno si capisce appieno perché non se ne hanno gli strumenti.
Figura paterna, sacrale più che altro, in cui riflettersi, di cui seguire il verbo diventa il nuovo sacerdote della contea di Coolbar, giovane e dalle parole vivaci, che colgono nel segno e son capaci di ridare speranza, persino a lei. La sua è una presenza-assenza, sempre sullo sfondo anche se raramente a contatto con Shell o i fratelli Trix e Jimmy, una costante che non compare che sporadicamente ma di cui si sente sempre l’esistenza, specialmente nella fede della ragazza e nel suo agire in un modo piuttosto che nell’altro, nel riprendere a credere in Dio persino nei momenti in cui A swift pure crytutto sembra venir meno, persino quando è più sempre più sola al mondo e si trova a dover fare i conti con un’adolescenza rubata e una maturità richiesta troppo presto, un potere decisionale che non si rende forse nemmeno conto di avere. E che fa scivolare ulteriormente i fatti, dando una svolta alla narrazione che non si poteva intuire e che di nuovo pone in questione il rapporto tra realtà e fantasia, immaginazione e fatti accertati o in via d’accertamento. Due neonati trovati morti e senza genitori, un sospettato che non ammette niente, un reo confesso a cui viene difficile credere, qualcuno che dice la verità ma non viene creduto, altri che ripetono quello in cui credono e si allontanano dal giusto, genitori figli e figli genitori. Niente di certo, niente di niente. Se non la forza di Shell, quel qualcosa che potentemente la ispira e motiva a stringere i denti, andare avanti anche quando sarebbe più facile scappare via come tutti e dimenticare da dove si proviene. Ma non Shell, no, lei è una girandola di colori e sensazioni, di passione e libertà, di sensibilità e gioia, nonostante tutto, a dispetto di tutto quello che accade, le chiacchiere e i bisbigli malevoli della gente, le perdite e il dolore. La gioia di Shell, e dei suoi fratelli, questo è ciò che più rimane di un insieme di personaggi meravigliosamente reali nelle loro tragedie personali

Nella mente di Shell, Gesù era sceso dalla croce e se n’era andato al bar più vicino. La faccia della mamma di Shell si era accartocciata, come quella di un bambino che sta per scoppiare a piangere. Poi era morta. Gesù si era scolato il suo bicchiere di birra ed era uscito definitivamente dalla vita di Shell.

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