Andersen 358 - dicembre 2018
Lybda Mullaly Hunt torna, dopo Un pesce sull'albero, a raccontare di un'adolescenza responsabile di se stessa, che può contare solo ed esclusivamente sulla propria forza d'animo. Incontriamo Carley quando fa il suo ingresso in casa Murphy: è lì in affido temporaneo, giusto per il tempo che la mamma si riprenda dal coma e da quel che è accaduto (noi, cosa sia accaduto, lo scopriremo solo più avanti). Rinchiusa nel suo guscio, la ragazzina guarda con sospetto alla famiglia da pubblicità che le si presenta davanti: i Murphy sono tutti così perfetti ed educati che la tentazione di comportarsi male è quasi un desiderio. Anche i blocchi di ghiaccio più grandi, però, possono sciogliersi se esposti al giusto quantitativo di luce, ed ecco che, pagina dopo pagina, Carley sembra aprirsi, prima con i piccoli di casa, poi con tutti gli altri. Grande merito va alla signora Murphy che, fin da principio, dimostra di saper tenere testa a Carley, con una dolcezza e una gentilezza per più versi disarmante. Ci vuole un po', certo, ma pian piano la prigione diventa gabbia dorata, e la stessa Carley inizia a desiderare di non uscire più. Pur abituandosi alla nuova quotidianità, però, la ragazza non dimentica la mamma e quello che è successo prima che venissero separate: il rapporto con la signora Murphy diventa così anche spazio per ripercorrere il trauma e ricostruire pezzi di memoria andati perduti. Non svelerò il finale che, pure, ha lasciato spazio al confronto in redazione: amaro, questo lo si può dire, si pone a metà tra la conclusione realistica e la risoluzione semplice del problema. Aldilà di queste considerazioni, è apprezzabile la scelta dell'autrice di non restituire al lettore una trama didascalica, ma costruire una storia di ampio respiro, dal ritmo scorrevole e incalzante. Da leggere per discuterne assieme.
di Martina Russo