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Recensione di Le percezioni sensoriali nell'autismo e nella sindrome di Asperger, di Olga Bogdashina

ACFFADIR, giovedì 22 settembre 2011

Questo libro dovrebbe essere letto da ogni genitore con un figlio autistico per almeno due valide ragioni. La prima è che Olga Bogdashina, russa d’origine ed inglese di adozione, è la mamma di un giovane autistico Alyosha (Alex in inglese) e, come tutte le mamme, non sfugge all’incontenibile desiderio di parlare, anche se in maniera contenuta, delle caratteristiche del figlio e dei problemi familiari che ne derivano. Questo, per un genitore che legge il libro, è di grande importanza per effettuare un confronto con le difficoltà pratiche che affronta di continuo. L’altra ragione è che in esso sono individuate cause della sindrome autistica ed illustrate modalità di intervento completamente diverse da quanto è riconosciuto e indicato nelle attuali prese in carico.
Infatti, l’autrice, master in educazione e PhD in linguistica quindi profonda conoscitrice di quanto proposto negli attuali interventi sulla sindrome, non si sottrae, e non potevamo aspettarci nulla di diverso da una mamma, al compito di criticare le teorie in auge evidenziandone i limiti, ma, allo stesso tempo, mettere nel dovuto risalto le ipotesi (peraltro da lei stessa applicate per suo figlio) che nella storia dell’autismo non sono mai state prese in considerazione.
Ho incontrato Olga Bogdashina in un convegno organizzato dall’Amministrazione Provinciale della città di Bergamo nel dicembre del 2006. Durante i colloqui avuti con lei, avemmo modo di ritrovarci, entrambi, fermamente convinti a non accettare mai ingiustificate e assurde posizioni di pensiero che non concedevano alcuna possibilità di concreto cambiamento nel disturbo autistico. Ma nel breve tempo trascorso insieme la cosa che, come genitori, maggiormente ci unì in una reciproca stima, fu che, pur iniziando da posizioni di partenza molto distanti nel tempo e nello spazio, entrambi eravamo giunti alle stesse conclusioni sulle effettive angosciose difficoltà che dovevano affrontare i nostri figli autistici.
Infatti, le alterate percezioni sensoriali che sono alla base dell’autismo, argomento della relazione svolta a Bergamo, molto apprezzata dai numerosi giovani operatori partecipanti, ma senza alcuna conseguenza per le figure istituzionali presenti, rappresentano il filo conduttore del suo libro che, edito in inglese nel 2003, solo quest’anno, grazie ad una nuova e intraprendente Casa Editrice, vede la traduzione e la pubblicazione nella nostra lingua per poter essere letto anche dai genitori italiani. (Ritengo molto difficile che i “tecnici” possano dedicarsi a tale lettura in quanto frutto di studi e di ricerche di una “mamma” e, come ci viene continuamente ricordato, da una persona del tutto incapace di non essere coinvolta emotivamente nell’argomento rendendo il suo impegno poco obiettivo).
Il testo affronta subito (evitandoci finalmente di rileggere per l’ennesima volta tutti gli infruttuosi sviluppi di 60 anni di storia dell’autismo) l’argomento per il quale è stato realizzato. L’autrice osserva: «Attualmente, non essendo noti test medici che rivelino l’autismo, la diagnosi si basa sulla presenza dei comportamenti specifici, in particolare deficit nelle interazioni sociali, nella comunicazione e nell’immaginazione, conosciuti come la triade deficitaria. Tuttavia, tali comportamenti sono visti come un insieme di reazioni compensative finalizzate, causate da uno o più deficit fondamentali, e non possono essere considerati come caratteristiche primarie. Queste caratteristiche comportamentali, seppure molto utili per la diagnosi, non ci dicono molto sul perché le persone autistiche le manifestano e su come facciano esperienza del mondo. É per questo che non è di alcuna utilità cercare di eliminare questi comportamenti senza identificare le cause sottostanti, a prescindere da quanto queste “reazioni bizzarre” interferiscano con l’insegnamento o con il trattamento dei bambini autistici. Pag. 24».
Con queste parole l’autrice focalizza il problema principale dell’autismo che si protrae, non capito, ormai da troppo tempo.
Infatti, in queste righe è chiaramente rilevato come tutto l’interesse, prodigato da schiere di studiosi sulla famosa triade deficitaria, sia stato totalmente inutile per due precisi motivi. Il primo è che tali manifestazioni, come ci spiega l’autrice, sono secondarie a “deficit fondamentali” cioè ad alterazioni relative alla struttura e all’organizzazione funzionale del cervello e che quindi, per tanto tempo, si è fatto riferimento, commettendo un madornale errore, unicamente ai sintomi e non alle cause del disturbo. Il secondo, molto più grave, è che sempre per lo stesso numero di anni, non si è mai dato ascolto ai genitori che, chiedendo una spiegazione e quindi una possibilità di intervenire sulle “reazioni bizzarre” dei loro figli, dichiaravano apertamente che dell’intersoggettività, della comunicazione e dell’immaginazione a loro interessava poco, almeno fino a quando non si trovava una spiegazione per comprendere e controllare le anormalità comportamentali che impedivano qualsiasi tentativo di organizzare una vita ordinata.
Questo è il fondamentale problema dell’autismo che è stato ed è ancora trascurato. Si può vivere con un bambino che non parla, non socializza, e non ha immaginazione perché lo si accetta ugualmente, ma come si può vivere con un bambino che oltre a tali problemi manifesta, senza alcuna apparente logica ragione, continue stranezze comportamentali mettendo, in tal modo, costantemente in crisi l’andamento regolato del vivere civile della famiglia?
È su questo problema di invivibilità che, da anni, i genitori chiedono aiuto, ma nelle indicazioni ricevute, grazie a imposizioni di scuole di pensiero, c’è stata solo una gara alle più sfrenate interpretazioni fantastiche del problema, cosa che resterà per sempre come una vergognosa macchia nella storia della medicina peraltro non nuova a simili disavventure. (S. B. Nuland. Il morbo dei dottori. 2004. Codice Edizioni).
È solo dalla metà degli anni ’70, prosegue la Bogdashina, che, mentre soprattutto in Italia imperversavano le farneticanti ipotesi sulle cause dell’autismo di B. Bettlheim, alcuni studiosi verificarono, con ricerche e indagini, la possibilità di anormalità nei processi percettivi che potessero determinare anomalie comportamentali. Ma, come ricorda l’autrice, «ciò che stupisce è che, nonostante esperienze sensoriali insolite siano osservate nelle persone autistiche da molti anni e siano confermate dagli stessi individui autistici, esse siano ancora elencate come una caratteristica associata (e non essenziale) dell’autismo nelle principali classificazioni diagnostiche. Pag. 25». Il che dimostra, a danno delle persone autistiche, l’assoluta incapacità per buona parte degli studiosi dell’autismo a dissociarsi da schemi di pensiero ormai obsoleti.
Come unica eccezione, almeno in Italia, voglio ricordare l’ammirevole lavoro di sintesi e di confronto del Prof. Mario Lambiase che, anche se trenta anni dopo, nel suo libro, “Autismo e lobi frontali”, 2004 Editrice Vannini, indica chiaramente come delle alterazioni, unicamente di tipo neurologico, possano essere considerate le presumibili cause dell’anomalo comportamento autistico e come le vie da seguire per comprendere l’autismo siano completamente differenti da quelle percorse.
Al fine di indagare e interpretare le esperienze sensoriali ed i possibili stili percettivi degli individui affetti d’autismo, l’autrice si impegna ad analizzare le loro testimonianze scritte o espresse, relativamente a tali sistemi. Questo modo di prendere in considerazione i disturbi dello spettro autistico ha pochi precedenti (C. Tréhin. A une extrémité du continuum autistique. 1994. “Link”, 14, Autismo Europa) in quanto non è mai stata data importanza ai resoconti delle persone autistiche che sono citati come avvenimenti inconsueti e comunque non meritevoli di analisi approfondite. L’autrice, invece, ritiene tali descrizioni estremamente importanti per chiarire le possibili esperienze percettive nell’autismo e denuncia chiaramente il comportamento degli specialisti che, anche con le migliori intenzioni, hanno completamente trascurato di prendere in considerazione «l’opinione e la visione che del problema hanno le persone autistiche stesse» senza considerare che «i racconti e le comunicazioni personali andrebbero visti come la principale fonte di informazioni riguardo a questa condizione. Pag. 26».
Diverse sono le persone affette d’autismo (ad alto funzionamento) che hanno potuto scrivere sulle loro percezioni alterate ed anche alcuni genitori hanno descritto tali anomalie. Ricordo, per i lettori interessati, i nomi degli autori i cui testi sono stati tradotti in italiano: T. Grandin, D. Williams, G. Gerland, C. C. Park, A. Stehli, P. Iversen.
Attraverso un attento esame di queste dichiarazioni, l’autrice fa notare i legami che intercorrono fra le anomalie comportamentali e le difficoltà senso-percettive suggerendo, con paragoni ed esempi, una plausibile spiegazione. Sono esaminate le possibili modalità autistiche di percepire il mondo prendendo in considerazione la percezione letterale, la percezione della Gestalt, l’ipersensibilità e l’iposensibilità, l’incoerenza della percezione, la percezione frammentaria, la percezione distorta, l’agnosia sensoriale, la percezione ritardata, la vulnerabilità al sovraccarico sensoriale.
L’esame di queste alterate modalità percettive è un fatto estremamente avvincente perché mostra l’autismo in un modo completamente nuovo. Nella storia dell’autismo, infatti, vi sono pochissimi precedenti di studiosi impegnati in queste indagini e le loro ricerche sono state totalmente ignorate e osteggiate dalle scuole di pensiero dominanti che hanno ostacolato, così, la possibilità di considerare in una maniera differente le cause dell’autismo.
Di particolare interesse è l’indicazione del che “cosa osservare” nel bambino, che l’autrice elenca per ognuna delle alterazioni prese in esame al fine di poter permettere ai genitori di individuare in quale tipo di difficoltà percettiva è presumibilmente coinvolto il figlio con autismo.
L’autrice, inoltre, non si limita a mostrare l’evidente legame tra comportamento ed alterazione percettiva già di per sé molto affascinante, ma si impegna anche a postulare il possibile stile cognitivo che, in conseguenza di tali difficoltà percettive, potrebbe instaurarsi nelle persone con autismo. A tal scopo, sono prese in esame le varie facoltà cerebrali che concorrono alle capacità cognitive: i processi cognitivi consci ed inconsci, l’attenzione, la memoria, la formazione dei concetti, l’immaginazione.
È questa, forse, la parte più interessante del libro.
L’autrice, citando i lavori di studiosi che hanno indagato il cervello umano in maniera più approfondita e facendo riferimento alle dichiarazioni delle persone autistiche, traccia un ampio mosaico delle possibili strategie messe in atto dal cervello di tali persone per sopravvivere in un mondo sensoriale che continuamente colpisce l’organo in questione con stimolazioni che giungono ai suoi centri di elaborazione in maniera completamente diversa da quella dei “normotipi”.
Leggere le pagine di questi capitoli significa rivedere tanti incomprensibili episodi del comportamento dei nostri figli; episodi che ora iniziano a trovare una loro specifica spiegazione. È il momento in cui tante domande, rimaste per anni inascoltate, trovano una loro logica risposta e i genitori possono finalmente riconoscere il lato profondamente umano della sofferenza dei loro figli.
Tutto questo determina in noi genitori dei profondi sentimenti di amarezza in quanto, conseguentemente, siamo costretti a porci degli angosciosi quesiti. Quanto tempo occorrerà alle nostre istituzioni per cambiare in maniera così rivoluzionaria le proprie idee ed affrontare in un modo totalmente nuovo la sindrome autistica? Quali spaventose sofferenze dovranno sopportare ancora bambini e genitori prima che possa prodursi un tale cambiamento?
L’autrice, dal canto suo, riconosce pienamente che principale conseguenza di questa differente maniera di valutare il disturbo autistico è proprio quella di rivedere completamente i modi di trattamento e aggiunge: «Quando un bambino riceve una diagnosi di autismo, le priorità educative si concentrano su interventi comportamentali finalizzati allo sviluppo di abilità sociali e comunicative, mentre i “bisogni sensoriali” del bambino sono spesso ignorati. Ciò vale specialmente per i bambini cosiddetti a basso funzionamento (o gravemente autistici), i cui problemi senso-percettivi sono in genere molto pesanti. Messi in un ambiente dove ci si occupa delle loro difficoltà sensoriali, questi bambini possono rispondere agli interventi sociali e di comunicazione meglio che se fossero messi in centri o scuole dove l’attenzione primaria è posta unicamente sull’addestramento ai comportamenti sociali e comunicativi. Pag. 153». E ancora: «Il problema delle difficoltà senso percettive caratteristiche dell’autismo è il fatto che sono spesso “invisibili” e non rilevate».
Tralasciando la ferma condanna di tutti i centri e di tutte le scuole attualmente preposte alla presa in carico delle persone affette d’autismo in quanto indirizzate all’addestramento ai comportamenti sociali e comunicativi, appare evidente come la Bogdashina prenda in considerazione, in conseguenza di tale nuova interpretazione del disturbo autistico, essenzialmente quei trattamenti che tendono a normalizzare le facoltà percettive quali: il «training di integrazione uditiva», il metodo della «sensibilità scotopica», «l’optometria comportamentale», la «terapia dello holding», la «macchina degli abbracci», e la «terapia di integrazione sensoriale». Ai lettori desidero ricordare come questi trattamenti non sono presi in considerazione dalle strutture istituzionali perché non hanno avuto la possibilità di essere valutati in maniera scientifica, in quanto nessuna istituzione pubblica si è impegnata nell’arduo compito di porre in atto la relativa sperimentazione con tutto l’onere economico che essa comporta e, principalmente, con il grosso rischio del profondo sconvolgimento che ne può derivare nell’ambito dei trattamenti del disturbo autistico. Ricordo anche che i trattamenti proposti oggi, analogamente, non hanno alcuna validità scientifica come terapia dell’autismo, tanto è vero che è costantemente affermato il concetto che non esiste una cura per l’autismo, ma il loro utilizzo è tuttora sostenuto in quanto non determina scontri con scuole di pensiero imperanti e non sconvolge lo “status quo” di poteri stabiliti e tutti possono vivere tranquilli (tranne naturalmente i genitori i cui figli autistici restano tali).
L’autrice, a questo punto, ritiene opportuno fare un’osservazione particolarmente scioccante: «Possiamo trarre molte informazioni dall’osservazione dei comportamenti ripetitivi. Questi comportamenti sono la chiave per comprendere in che modo il bambino sperimenta il mondo, i problemi che incontra e le strategie che ha acquisito per fare fronte alle sue difficoltà. Il bambino cerca, in modo conscio o inconscio, di regolare l’ambiente e le proprie risposte ad esso e acquisisce strategie difensive e compensazioni per i propri deficit. Il bambino ci mostra il suo modo di affrontare i problemi. Una delle difficoltà nell’interpretare i comportamenti del bambino causati da differenze nel trattamento sensoriale è però la nostra funzione sensoriale “non autistica”. Ci dobbiamo allenare a percepire e comprendere il mondo dalla prospettiva dell’individuo interessato. Pag. 184»
Queste parole rappresentano chiaramente il prossimo grande cambiamento che avverrà nell’approccio alla sindrome autistica e indicano il ruolo di cui noi genitori dobbiamo riappropriarci.
È prossima a finire l’epoca delle deleghe, mai concesse dai genitori, ma costantemente imposte dall’alto da chi, dell’autismo, ha una conoscenza solo parziale. È prossima a finire l’epoca delle domande insulse e offensive per noi genitori e dei test inutili ed illogici per i nostri figli. È prossima a finire l’epoca dei genitori osservati con estremo sospetto, mentre è giunto il momento di rivolgersi a loro come a persone pienamente responsabili e competenti.
Ma in questo momento appare chiaro che, a voler aspettare i canonici “tempi tecnici” per valutare questo nuovo modo di presa in carica che condanna inesorabilmente tutto quanto proposto sino ad oggi nel campo dell’autismo, l’attesa potrebbe rivelarsi nell’ordine dei decenni. Pertanto, siamo noi che dobbiamo, per la responsabilità che abbiamo verso i nostri figli, riappropriarci della nostra qualità di genitori cioè di coloro che conoscono meglio di chiunque altro al mondo il modo di interagire dei nostri figli e la storia della loro vita vissuta e quindi in definitiva, le persone che possono dare la più corretta interpretazione possibile al loro anomalo comportamento ed intervenire di conseguenza.
L’indicazione della Bogdashina è chiara e senza possibilità di dubbi. Basterà seguire attentamente il suo ragionamento, capire le sue spiegazioni, adeguarsi alle sue indicazioni e quindi, iniziare ad operare concretamente per ottenere nelle persone autistiche quel cambiamento nell’elaborazione sensoriale che già è stato ottenuto da quei genitori che, avendo avuto la possibilità di essere informati per tempo su questi nuovi approcci, hanno saputo applicarli con la necessaria tenacia e determinazione.

Sergio Martone

Leggi l'articolo originale nel sito di ACFFADIR

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